Oggi parliamo di ferite.
Nella nostra umanità è insita la sofferenza, il Buddha già ci aveva informato di questo 2560 anni fa, nella sua prima nobile verità: c’è la sofferenza.
Al di là della causa primaria di ogni sofferenza, abbiamo ognuno le nostre ferite, molte delle quali nel periodo dell’infanzia, momento della nostra vita in cui eravamo innocenti, morbidi, dipendenti ed emotivamente molto esposti.
Ora, non possiamo cambiare il passato. Ma possiamo accoglierlo.
Non possiamo ignorare la ferita, poichè lei tenderà ad attualizzarsi a livello inconscio nel nostro quotidiano presente, si farà sentire nel corpo, nelle credenze che ci limitano, nelle nostre relazioni affettive e di lavoro.
Esiste un’antica pratica giapponese, si chiama Kintsugi.
Quando una ciotola, una teiera o un vaso prezioso cadono frantumandosi in mille cocci, noi li buttiamo con rabbia e dispiacere. Eppure c’è un’alternativa, una pratica giapponese che fa l’esatto opposto: evidenzia le fratture, le impreziosisce e aggiunge valore all’oggetto rotto. Si chiama kintsugi (金継ぎ), o kintsukuroi (金繕い), letteralmente oro (“kin”) e riunire, riparare, ricongiunzione (“tsugi”).
E’ l’arte di abbracciare il danno, di non vergognarsi delle ferite, la delicata lezione simbolica suggerita dall’antica arte giapponese del kintsugi.
La ferità proviene sempre da un bisogno insoddisfatto.
Conosciamo davvero i nostri bisogni più profondi? Ce ne prendiamo veramente carico, da adulti, responsabilmente? Accettiamo la ferita del passato?
E’ possibile trasformare la frattura in una nuova forza, con la preziosa venatura di oro che impreziosisce il vaso, come nel Kintsugi, riunendo così in una nuova integrazione ciò che era spezzato.
Parleremo di questo nel Gruppo d’incontro di Mercoledì 25 Ottobre.
Risanare la ferita ed avere nuova e pulita energia per continuare, richiede di passare necessariamente attraverso la nostra ferita, ma con la luminosa e aurea luce della Consapevolezza.
Iris Gioia Deva Rajani